Un appello per una nuova diplomazia: perdono, compassione e generosità come strada da seguire

Dare in pasto agli uccelli con una fava

In un mondo sempre più diviso da guerre, conflitti e sofferenze, è tempo di un profondo cambiamento nel modo in cui nazioni e individui interagiscono tra loro. Non possiamo più permetterci di perpetuare un sistema globale alimentato da vendetta, avidità e ansia, un sistema che ha portato devastazione all'umanità e al pianeta. Mentre i conflitti infuriano in Ucraina, Russia, Palestina e Israele, assistiamo non solo allo scontro di civiltà, ma anche al tragico risultato di una leadership radicata nell'ego e nella paura. Dal Venezuela alla Corea del Nord, intere nazioni stanno crollando sotto il peso di questo paradigma distruttivo.

Ma c'è un altro modo, un modo di diplomazia fondato non sul ciclo infinito della punizione, ma sul perdono, la compassione e la generosità. Questo è un invito all'azione per i leader mondiali, le comunità e gli individui a guidare dal cuore, a coltivare la pace interiore e a dare nuova vita ai legami che ci uniscono come famiglia globale.

Perdono: il primo passo verso la pace

Al centro di questa nuova diplomazia c'è il perdono. La vera diplomazia inizia dentro di noi, come scrisse una volta il poeta sufi del XIII secolo Rumi: "Ieri ero intelligente, quindi volevo cambiare il mondo. Oggi sono saggio, quindi sto cambiando me stesso." Se vogliamo guarire il mondo, dobbiamo prima guarire noi stessi, individualmente e collettivamente. Solo riconoscendo il dolore delle nostre storie, senza permettergli di definire il nostro futuro, possiamo andare oltre i conflitti che ci imprigionano.

In Ucraina e Russia, vediamo due nazioni intrappolate in una danza distruttiva di rimostranze storiche e orgoglio nazionalistico. Allo stesso modo, in Palestina e Israele, entrambe le parti hanno sofferto a lungo per generazioni di traumi e perdite. I conflitti politici e militari in queste regioni riflettono una ferita più profonda e insidiosa: l'incapacità di perdonare. Finché la vendetta sarà la risposta alla violenza, finché la punizione sarà la risposta all'ingiustizia, il ciclo di sofferenza continuerà.

Il Corano ci ricorda: “Respingi il male con ciò che è meglio; allora ecco, colui che una volta era tuo nemico diventerà il tuo intimo amico.” (41:34). Questo insegnamento offre una profonda intuizione sul potere del perdono, non come debolezza, ma come forza trasformativa che può trasformare i nemici in alleati. Quando la diplomazia è radicata nel perdono, riconosce le ferite del passato ma non consente loro di dettare il futuro.

Compassione: la chiave per la rigenerazione

Una volta che il perdono apre la porta alla pace, la compassione deve essere la forza che la sostiene. La compassione non è solo l'atto di provare empatia per la sofferenza di un altro; è l'impegno a intraprendere azioni per alleviare quella sofferenza. In molti modi, la compassione è l'essenza della vera diplomazia. La Bhagavad Gita esorta: “Colui che non nutre rancore verso alcun essere, che è amichevole e compassionevole, libero dall’ego e dal senso di sé, … mi è caro” (Bhagavad Gita 12:13). In questo insegnamento, ci viene ricordato che la libertà dall'ego è fondamentale per la compassione, e la compassione è fondamentale per l'amore.

Negli affari globali, la leadership guidata dall'ego è forse la più grande minaccia alla pace duratura. Ne vediamo chiaramente gli effetti in Venezuela e Corea del Nord, dove i leader danno priorità al potere personale rispetto al benessere del loro popolo. La sofferenza di milioni di persone è una conseguenza diretta di una leadership che ha abbandonato la compassione per il controllo.

La vera diplomazia, fondata sulla compassione, sarebbe molto diversa. Immagina un mondo in cui i leader cercassero di comprendere le esigenze dei loro vicini anziché dominarli. Dove la risposta all'aggressione non fosse una ritorsione ma un autentico sforzo per comprendere e affrontare le cause profonde del conflitto. Come consiglia il Tao Te Ching: “L’uomo saggio non compete. Perciò, nessuno può competere con lui.” La leadership compassionevole è una leadership senza competizione, senza il desiderio di conquistare. È una leadership che cerca di guarire, non di danneggiare.

Generosità: fondamento di un mondo nuovo

La generosità, sia di spirito che di risorse, deve essere al centro di questa nuova diplomazia. La generosità è la volontà di condividere non solo la ricchezza materiale, ma anche la conoscenza, la saggezza e il tempo. È il riconoscimento che siamo tutti interconnessi e che la sofferenza di uno è la sofferenza di tutti. Come insegna la Torah: “Se c'è un povero tra voi... non siate duri di cuore o avari verso di lui. Piuttosto, siate generosi e prestategli liberamente tutto ciò di cui ha bisogno.” (Deuteronomio 15:7-8). In un mondo in cui le risorse sono sempre più concentrate nelle mani di pochi, la generosità diventa un atto rivoluzionario.

Vediamo l'opposto della generosità nei conflitti guidati dall'avidità e dal controllo delle risorse. Il degrado ambientale, la disuguaglianza economica e la sofferenza globale sono spesso il risultato di nazioni e aziende che cercano di sfruttare piuttosto che condividere. Il risultato non è solo la distruzione degli ecosistemi, ma anche l'approfondimento delle divisioni sociali. Tuttavia, una nuova diplomazia darebbe priorità al benessere di tutti, assicurando che le risorse siano distribuite equamente e che nessuno venga lasciato indietro.

La generosità è anche una parte essenziale della guarigione del pianeta. Mentre l'umanità affronta le crisi gemelle del cambiamento climatico e del collasso ambientale, è chiaro che gli attuali sistemi economici e politici sono insostenibili. È giunto il momento per un atto globale di generosità, che riconosca la nostra responsabilità verso le generazioni future e verso la Terra stessa.

La via da seguire: un invito a guidare con il cuore

La via da seguire è attraverso. Attraverso il viaggio interiore dell'autoconsapevolezza, attraverso la pratica del perdono e attraverso la coltivazione della compassione. In questo, dobbiamo prestare attenzione alle parole della Bhagavad Gita: “Ponete il vostro cuore sul lavoro, ma mai sulla ricompensa.” (2:47). Ciò ci ricorda che la vera leadership e la vera diplomazia non devono essere guidate dall’interesse personale o dal desiderio di riconoscimento, ma da un autentico impegno per il benessere degli altri.

Questo è un invito ai leader a fermarsi, respirare e abbracciare gentilezza, speranza e contemplazione. Lo scontro di civiltà non è inevitabile; è una scelta. E noi, come individui e come nazioni, abbiamo il potere di scegliere diversamente. Possiamo scegliere di creare un mondo radicato nella libertà, nella consapevolezza e nella felicità per tutti. Ma per farlo, dobbiamo prima scegliere la pace interiore, il perdono e la compassione.

Mentre osserviamo la sofferenza in Ucraina e Russia, Palestina e Israele, Venezuela e Corea del Nord, dobbiamo chiederci: che tipo di mondo vogliamo creare? La risposta non sta nelle armi, nelle sanzioni o nelle punizioni, ma nelle qualità che sono state il fondamento di tutti gli insegnamenti spirituali nel corso della storia: amore, generosità e compassione.

Ricordiamo le parole del Corano: "Fai del bene come Allah ha fatto del bene a te. E non desiderare la corruzione sulla terra." (28:77). È giunto il momento per una nuova diplomazia, una che non cerchi di corrompere ma di guarire. Una che non divida ma unisca.

Questa è una chiamata all'azione, non solo per i leader mondiali, ma per ognuno di noi. Una chiamata a guidare con il cuore, a guardare oltre i confini che ci separano e ad abbracciare l'umanità condivisa che ci lega insieme. Il futuro del nostro mondo dipende da questo.


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